Le relazioni e lo spazio in azienda

Questo è l’articolo tratto dal Corriere della Sera

Una volta era solo il fumo. Adesso sono rumori e odori a rendere difficile la convivenza al lavoro. Gli spazi ad alta densità non facilitano l’impresa, e le incombenze da rincorrere neppure. Dall’ufficio dobbiamo chiamare la tata, il marito, l’amante, la maestra dei bambini o i genitori anziani. Il che significa che simultaneamente i nostri vicini di banco si fanno, loro malgrado, gli affari nostri. Stessa cosa per il cibo: senza più tempo per la pausa pranzo, mangiamo davanti al computer. Sushi o cavoletti, il risultato per il dirimpettaio non cambia (complice l’assenza di finestre con la climatizzazione centralizzata). Sono i segni di un’intimità perduta, ma all’opposto anche di una condivisione forzata, perché davvero l’ufficio è diventato per tutti, uomini, donne, mogli o mariti, il luogo in cui si trascorre la maggior parte delle ore da svegli.

«Negli anni Sessanta gli impiegati erano sempre uguali, avevano una stanzetta per ciascuno o al massimo ci stavano in due o tre. Il problema delle telefonate private non si poneva, men che meno la consumazione di un menu etnico», racconta lo psicologo Andrea Castiello D’Antonio. Oggi è cambiato tutto. Si lavora in open space, siamo in tanti e siamo diversi. «Il che è una fortuna, ma questa ricchezza umana comprende abitudini, tradizioni alimentari, modi di comportamento e urgenze individuali», interviene Claudio Cortese, ordinario di psicologia del lavoro all’università di Torino. Tra le lamentele più frequenti raccolte nelle sue consulenze aziendali ci sono le telefonate private ad alta voce. E non sono le più bizzarre. «Una volta mi resi conto che la “criticità” in un gruppo era il fatto che uno di loro si toglieva le scarpe sotto la scrivania. Un’altra volta a creare problemi era il collega che durante la pausa pranzo andava in palestra e quando tornava, perfettamente profumato dopo la sua doccia, si trascinava dietro il borsone con i vestiti sudati».

 E poi: fumare o non fumare nei bagni? Mettere o non mettere le scarpe sul tavolo? Videochiamare o non videochiamare il nipotino? «Il tema della leadership in molti casi è importante: se l’eccezione è tollerata solo nei confronti di chi ha il potere, le cose non vanno», dice il professore Franco Fraccaroli, delegato del benessere organizzativo all’università di Trento. E aggiunge: «Le differenze più marcate restano quelle generazionali: è faticoso per i colleghi più maturi accettare una certa disinvoltura nel vestire, nel mangiare, nel fare rumore da parte dei più giovani».

Da quando open space e flexible chairs, che poi sono i grandi acquari dove galleggiano gli umani e le postazioni flessibili, hanno decretato la scomparsa della scrivania fissa (succede, tra gli altri, da Vodafone), si è posto il problema dell’ordine (e del disordine). Perché non tutti, prima di lasciare un tavolo su cui il giorno successivo lavorerà un altro, si pongono la domanda evangelica: come vorrei trovarlo io quando ritoccherà a me?

Gli esperti affidano il ruolo di arbitro alle aziende. Il lavoro da casa risolve alla radice i problemi. Ma ci sono le nuove multinazionali che fanno una grande attività di prevenzione già nell’architettura degli spazi. «La progettazione degli ambienti per noi è diventata fondamentale: abbiamo creato spazi che si adattano alle esigenze di chi lavora e non il contrario», spiega Roberto Biazzi, direttore delle risorse umane di Fastweb. Significa che le telefonate private (o anche quelle di lavoro, magari in una lingua straniera, quando si alza il tono della voce senza rendersi conto) vengono fatte dentro cabine specifiche. Mentre il panino, il cous cous, i maccheroni si possono scaldare nel microonde in una stanza attrezzata solo per quello (nel caso Fastweb, la sala ha pure Wifi e postazione Internet). Infine ci sono le oasi, come da Heineken. Dove per definizione vige una «cultura collettiva» e il venerdì sera, prima di tornare a casa, si va tutti in birreria (aziendale). E lì ogni attrito va via.

Questa invece una mia riflessione sullo stesso: 

Che le aziende italiane sul tema della psicologia del lavoro siano indietro di molti anni rispetto ad altre realtà europee ed extraeuropee è indubbio. Ciò che adesso da noi sembra materia avveniristica (vedi articolo) in altre zone è consuetudine. L’Italia è un Paese vincolato da tradizioni e abitudini, dove provare il cambiamento è spesso fonte di indicibile angoscia.

Lo spazio fisico del lavorare, quasi mai è pensato davvero, spesso è com’è perché e “sempre stato così”. Ma fermiamoci un attimo a riflettere:  “quanto è importante, per l’efficenza e le relazioni lavorative riuscire a COSTRUIRE una dimensione che abbia un reale senso e sia davvero funzionale?

Nessuno (o quasi) in casa propria ha disposto la mobilia e la funzione delle stanze a caso, tutto sembra essere assoggettato ad una logica, ad un piacere estetico che però ha anche una sua praticità. Nelle aziende spesso non è così.

Ho fatto molti interventi come psicologo aziendale nella città di Prato e nei comuni limitrofi, e quasi mai ho trovato datori di lavoro che avessero davvero pensato a come organizzare gli spazi interni. Semplicemente o si fa con quello che c’è o si fa come sembra più “comodo”. La mia  esperienza invece mi insegna che una riprogettazione ben fatta può aumentare la produttività di quasi il 15% ed il senso di benessere lavorativo quasi del 25%.

In fondo basterebbe poco, basterebbe avere un po’ meno paura di cambiare.

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